«Il vero potere del Papa è servire i più deboli» «Il vero potere del Papa è servire i più deboli»

Publicado el 19/03/2013

La messa d’inaugurazione del pontificato. Le parole di papa Francesco che coinvolgono la folla dei 200mila

Esplosioni di gioia popolare alternati a silenzi di intensa preghiera. Ha parlato chiaro Francesco stamattina in piazza San Pietro per la messa di inaugurazione che ha avviato ufficialmente il suo pontificato.  Prima di ricevere dalle mani dei cardinali Jean-Louis Tauran e Angelo Sodano rispettivamente il pallio e l’anello del pescatore, il Pontefice ha scelto lo stemma e il motto del suo pontificato. 

«Miserando atque eligendo» è la frase fatta inserire nel suo stemma pontificio. Il Papa a un certo punto ha fatto fermare la jeep per scendere tra la folla e baciare un paraplegico. Oltre 130 delegazioni da tutto il mondo sono presenti: 31 Capi di Stato, 6 sovrani regnanti, 3 Principi ereditari, 11 capi di Governo. Trentatre le delegazioni di Chiese e confessioni cristiane, tra cui il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. Presenti anche la delegazione ebraica, musulmana, buddista, sick, jainista. 180 i concelebranti. Il Papa è sceso in processione con i patriarchi delle Chiese orientali alla Tomba di San Pietro. 

Poi Francesco ha Commento il Vangelo partendo dal brano in cui si dice che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa». “In queste parole – afferma - è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello»”.  

Il Papa chiede: “Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l'amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù”.   

E poi aggiunge: “Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!”.  

“La vocazione del custodire, però – prosegue - non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!”.  Sottolinea quindi che “quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna”.   

Quindi, un invito: “Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!”.  Poi aggiunge un’ulteriore annotazione: “il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. 

Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!”.  “Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe – rileva - celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere. Solo chi serve con amore sa custodire!”.  

E prosegue: “Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza". Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio”.   

Così Papa Francesco conclude: “Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato! Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! Amen”.  Durante la preghiera dei fedeli, si è pregato per Papa Francesco perché Dio lo custodisca nell'esercizio del ministero petrino, per i governanti perché Dio illumini le loro menti e li guidi alla costruzione della civiltà dell'amore, per i poveri e i sofferenti perché Dio con la sua provvidenza doni loro ristoro, consolazione e speranza anche mediante la carità dei fratelli, commenta Radio Vaticana. Al momento della comunione 500 sacerdoti hanno distribuito le ostie consacrate ai fedeli. Le delegazioni delle Chiese cristiane e delle altre religioni saranno ricevute domani nella sala Clementina. E' storica la presenza in piazza del Patriarca ecumenico della Chiesa ortodossa, Bartolomeo I. È la prima volta dal 1024, l’anno in cui la Chiesa ortodossa si separò da quella cattolica, che all’insediamento di un Pontefice assiste il Patriarca ecumenico, che ha sede a Istanbul (l’antica Costantinopoli) ed è considerato un «primus inter pares» tra i 14 patriarchi orientali e punto di riferimento della comunione della Chiesa ortodossa. 

Bartolomeo I aveva richiamato l’importanza di avvicinare la Chiesa cattolica e quella ortodossa per lavorare a favore di una futura riunificazione di tutte le chiese che rappresentano un miliardo e mezzo di credenti nel mondo. «Desidero che prosegua il nostro viaggio verso la riconciliazione e il consolidamento del dialogo per l’unità delle nostre Chiese sorelle», in un messaggio al nuovo Pontefice. 

La Stampa