Sgomberi e guerriglia: 278 morti in Egitto ElBaradei si è dimesso, stato d'emergenza Sgomberi e guerriglia: 278 morti in Egitto ElBaradei si è dimesso, stato d'emergenza

Publicado el 14/08/2013

Scontri per gli sgomberi dei sit in dei sostenitori di Morsi. Uccisi anche 3 giornalisti, 43 vittime tra agenti e militari. La Fratellanza attacca 22 chiese. «Il Papa copto è in pericolo»

Solo l'arrivo del coprifuoco, in serata, a partire dalle 21, stempera la tensione al Cairo. Il governo fa sapere che nelle due piazze dove i sit in dei sostenitori di Morsi sono stati smantellati è tornata la calma. Ma una calma apparente. Quasi 300 le vittime in tutto l'Egitto solo nella giornata di mercoledì, per i ribelli si arriverebbe a contarne 2.000: un bilancio da guerra civile, dove le cifre cambiano ad ogni accampamento, città e fazione. La giornata è iniziata all'alba quando i carri armati dell'esercito hanno iniziato lo sgombero, annunciato, delle piazze dei pro Morsi. I cecchini alle finestre sparavano sulla folla, lacrimogeni, bombe a mano, si parla anche di armi tossiche. Ma i manifestanti, che fanno in larga parte riferimento ai Fratelli musulmani, hanno risposto, ribellandosi allo sgombero. La guerriglia è iniziata subito diventando via via più violenta non soltanto al Cairo, ma anche ad Alessandria e in altri centri dove raduni di sostenitori di Morsi erano in atto. Quindi sangue, corpi distesi, bruciati, rabbia e la politica che inerte lascia.

LA POLITICA LASCIA - Il vice presidente ad interim della Repubblica egiziana, Mohammad ElBaradei, si è infatti dimesso. «Presento le dimissioni dalla carica di vicepresidente - ha scritto El Baradei - e chiedo a Dio l'altissimo che preservi il nostro caro Egitto da tutto il male, e che soddisfi le speranze e le aspirazioni del popolo». La decisione non è stata condivisa però da Tamarod, il cartello di forze che aveva chiesto e ottenuto la destituzione del presidente Morsi, che ha bollato la scelta delle dimissioni come una «fuga dalle proprie responsabilità».

SGOMBERI - Anche i vice premier Hossam Eissa e Ziad Bahaa El-Din hanno presentato le loro dimissioni in segno di protesta e pare che in totale siano 8 gli alti dirigenti che abbiamo lasciato il posto. Le dimissioni arrivano dopo le operazioni di sgombero delle piazze del Cairo che da mercoledì mattina in poi hanno causato almeno 278 morti e 2.000 feriti in tutto l'Egitto secondo gli ultimi dati ufficiali diffusi dal ministero della Salute, 43 le vittime tra le forze dell'ordine.

STATO DI EMERGENZA - Si chiude così, nel modo più violento, la lunga mobilitazione di protesta animata dai Fratelli musulmani e dai sostenitori del deposto ex presidente Mohammed Morsi. Gas lacrimogeni dagli elicotteri che volano a bassa quota, agenti calati con le funi, cecchini che sparano sulla folla dai tetti degli edifici che circondano le due principali tendopoli create dai manifestanti. Il governo egiziano, sostenuto dai vertici militari, ha dichiarato lo stato di emergenza per almeno un mese (in vigore per 30 anni sotto Hosni Mubarak e tolto solo l'anno scorso), lasciando intendere interventi ancora più drastici per ristabilire la calma nel Paese, a cominciare dal coprifuoco: sul Cairo dalle 21 di mercoledì alle 6 di giovedì. Gli Stati Uniti hanno quindi diramato un comunicato ufficiale per «opporsi in modo fermo alla dichiarazione dello stato d'emergenza». Altra misura adottata è il coprifuoco che interesserà le province del Cairo, Giza, Alessandria, Beni Sueif, Minya, Assiut, Sohag, Sinai del Nord, Sinai del Sud, Suez, Ismailia e Beheira, oltre alle province di Qena e Fayoum.

CRESCE LA VIOLENZA - Più passano le ore e più gli le violenze crescono di intensità. Al Cairo è stato dato alle fiamme il ministero delle Finanze, il palazzo è stato occupato dai manifestanti pro Morsi. Ad Alessandria si registrano 10 morti. Scontri anche ad Assiut, 350 km a sud del Cairo; ad Assuan è stata circondata la sede del governatorato, che è stato evacuato.

IL CONTEGGIO DELLE VITTIME - La conta dei morti cambia a seconda dell'interlocutore, è da guerra: si va dagli almeno 278 morti dichiarati dal governo agli oltre duemila denunciati dai Fratelli Musulmani e non verificabili. Oltre 2000 i feriti. Tra i morti ci sarebbero, secondo fonti vicine alla Fratellanza, anche le figlie di due leader del movimento: Asma El Beltagui figlia del segretario generale del partito Giustizia e libertà, e Hasfa Shater, con suo marito, figlia del numero due della confraternita religiosa, Khairaht Shater, ora in prigione. Un numero, quello delle vittime, che si scontra con le dichiarazioni rilasciate nella serata dal premier Hazem el Beblawi che ha sostenuto che la polizia ha agito con «il massimo ritegno» durante le operazioni di sgombero al Cairo dei sostenitori del presidente deposto Mohamed Morsi.

3 GIORNALISTI UCCISI - Negli scontri sono rimasti uccisi anche un cameraman di Sky News, Mick Deane, di 62 anni, una giovane reporter di Xpress, del gruppo emiratino Gulf news, Habiba Ahmed Abd Elaziz, 26 anni e il reporter egiziano Ahmed Abdel Gawad, che scriveva per il quotidiano di Stato egiziano Al Akhbar. L'organizzazione non governativa Reporter senza frontiere (Rsf) riferisce che diversi giornalisti egiziani, soprattutto fotografi, sono rimasti feriti negli scontri al Cairo mentre seguivano i violenti sgomberi dei sit-in pro Morsi vicino alla moschea di Rabaa Al-Adawiya e in piazza Mostafa Mahmoud.

GLI ARRESTI - Mentre nelle piazze infuria la rivolta, la polizia ha messo a segno alcuni arresti importanti tra le file dei Fratelli musulmani. Le forze di sicurezza egiziane hanno arrestato Mohamed el Beltagy, ex segretario generale e tuttora tra i massimi esponenti del movimento religioso che è dietro le proteste pro -Morsi.

«PAPA COPTO IN PERICOLO» - Padre Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana, fa un bilancio delle chiese andate distrutte durante gli scontri. Secondo il prete i Fratelli musulmani hanno iniziato ad assaltare le chiese e ne hanno attaccate già 22, per lo più copte, ma anche 7 cattoliche, fra cui un monastero e un ospedale di suore. Non ci sono morti ma ci sono feriti e «la situazione per i cristiani è gravissima». Il portavoce ha anche aggiunto che lo stesso patriarca, il «papa copto» Tawadros II, «è rinchiuso in un monastero per paura di essere assassinato. I Fratelli musulmani sono scesi in strada con molotov e armi e tutti noi siamo in pericolo».

L'APPELLO: «CI SPAZZANO VIA» - Il partito dei Fratelli musulmani ha lanciato un appello alla popolazione affinché scenda in strada contro «il massacro». «Questo non è un tentativo di disperdere (i manifestanti pro Morsi, ndr), ma è un sanguinoso tentativo di spazzare via tutte le voci che si oppongono al golpe militare», ha dichiarato il portavoce Gehad El-Haddad via Twitter. «Noi - ha aggiunto - non ci piegheremo. Rimarremo sempre in piedi per affrontare ogni tipo di tirannia».

TRE SOLDATI - Oltre ai morti civili anche tre soldati sono rimasti uccisi negli scontri scoppiati in un'altra piazza occupata della città, al-Nahda, a est della città (al-Adawiya è, invece, a nord).

MORTI CARBONIZZATI - Le forze di sicurezza ad al-Nahda hanno arrestato 150 «uomini armati» tra i quali «diversi leader dei Fratelli musulmani» dei quali non sono state divulgate le identità. Testimoni, in questa sede, riferiscono di diversi morti carbonizzati, ma non è chiaro cosa abbia causato l'incendio. Anche il sit-in di Nasr City (periferia sud-est) è stato preso d'assalto.

BANCHE E MUSEI CHIUSI - Il paese cerca di difendersi come può: il governo ha annunciato lo stop delle linee ferroviarie, aeree, di banche e musei. Il ministro egiziano per le Antichità ha ordinato la chiusura fino a nuovo ordine di tutti i musei e i siti archelogici. Il ministro Mohammed Ibrahim ha inoltre istituito una sala operativa per seguire da vicino la messa in sicurezza di musei e siti archelogici, in modo che siano protetti da furti e atti di vandalismo. Durante gli scontri che si sono verificati mercoledì, manifestanti pro-Morsi hanno distrutto i chioschi di guardia all'ingresso del Museo Nazionale di Alessandria e del Museo Nazionale Malawi a El-Minya. Nessun danno, però, alle sale.

Corriere della Sera